E-project


Progetto
L’inizio del 2023 vede l’Osservatorio Permanente Giovani-Editori ed Enel dare vita al nuovo progetto strategico E-project: ecological Literacy rivolto alle scuole superiori di tutta Italia.
Nel corso del prossimo triennio, Enel e Osservatorio lavoreranno insieme per contribuire ad allenare le giovani generazioni a passare dalla protesta alla proposta nella delicata sfida tesa a proteggere il nostro pianeta dal collasso ecologico e dal fenomeno del climate change.
Questa nuova iniziativa si svilupperà attorno a 5 temi, che di anno in anno saranno scelti da esperti, sui quali gli alunni e le alunne delle classi coinvolte lavoreranno in gruppo per preparare e tenere vere e proprie lezioni.
Saranno, infatti, proprio i giovani e le loro idee e proposte i veri protagonisti di questo progetto: una nuova “palestra” che allenerà le loro menti e li sensibilizzerà sui temi proposti, dando loro spazio e occasioni per raccontarsi ed esprimersi!
Per l’anno scolastico 22/23 i temi saranno i seguenti:
Gli oggetti Riduciamo, ripariamo, riusiamo
I viventi Proteggiamo, salviamo, curiamo
L'ambiente Costruiamo, difendiamo, recuperiamo
L'energia Conserviamo, generiamo, trasformiamo
Gli stili di vita Mangiamo, consumiamo, viaggiamo
Ogni classe si articolerà in 5 gruppi, ciascuno ‘adotterà’ uno dei temi e su questo inizierà a preparare la propria lezione e il proprio pitch/tesina avvalendosi anche dei materiali informativi e di appositi incontri online con esperti organizzati appositamente per supportare il progetto.
Al termine del percorso, tutta la classe sarà entrata in contatto con i 5 temi del progetto, maturando così una visione più ampia e di insieme dell’argomento in un’ottica di formazione peer to peer.
Le classi invieranno online i pitch/tesine realizzati all’Osservatorio con cadenza mensile, e i gruppi che spediranno i propri pitch entro i termini indicati nel Bando, potranno accedere a contenuti premium legati al progetto, attraverso webinar con personaggi davvero TOP.
Prima della ripartenza del nuovo anno scolastico i 100 pitch giudicati più originali saranno caricati sul sito Enel https://openinnovability.enel.com/it come proposte ed idee dei giovani.
Inoltre, un’apposita giuria sceglierà i 5 pitch (uno per tema) piu’ meritevoli e i gruppi autori dei lavori saranno invitati a partecipare per essere premiati nel corso di un grande Evento che si terrà nel secondo anno scolastico del Progetto (a.s. 2023/2024) in cui i ragazzi saranno premiati alla presenza dei vertici Enel ed Osservatorio in una città a sorpresa!
Nel corso di ciascun anno scolastico, per monitorare gli effetti prodotti e raccogliere indicazioni per il futuro, il progetto sarà accompagnato da una ricerca curata da un Istituto di ricerca terzo, che garantirà la scientificità dei risultati raccolti tra studenti e docenti.
Bando Edizione 2022/2023
L'Osservatorio Permanente Giovani - Editori in collaborazione con Enel promuove il Progetto E-project: ecological Literacy aperto agli studenti di tutte le classi delle scuole superiori di secondo grado che partecipano al progetto "Il Quotidiano in Classe”.
Le classi iscritte al concorso devono esplorare le seguenti 5 tematiche:
Gli oggetti Riduciamo, ripariamo, riusiamo
I viventi Proteggiamo, salviamo, curiamo
L'ambiente Costruiamo, difendiamo, recuperiamo
L'energia Conserviamo, generiamo, trasformiamo
Gli stili di vita Mangiamo, consumiamo, viaggiamo
Ogni classe dovrà dividersi in 5 gruppi, ciascuno ‘adotterà’ uno dei temi e su questo inizierà a preparare la propria lezione e il proprio pitch/tesina da spedire all’indirizzo email elaborati@osservatorionline.it .
La traccia per la stesura della tesina sarà disponibile, insieme agli altri materiali di approfondimento degli argomenti indicati, sul sito www.osservatorionline.it
I 5 pitch/tesine dovranno essere consegnati con questa cadenza:
pitch/tesina sul tema 1 entro il 13 marzo 2023
pitch/tesina sul tema 2 entro il 6 aprile 2023
pitch/tesina sul tema 3 entro il 21 aprile 2023
pitch/tesina sul tema 4 entro il 2 maggio 2023
pitch/tesina sul tema 5 entro il 15 maggio 2023
Inoltre, prima della ripartenza del nuovo anno scolastico, i 100 pitch giudicati più originali saranno caricati sul sito Enel https://openinnovability.enel.com/it come proposte e idee dei giovani.
Un’apposita giuria sceglierà i 5 pitch (uno per tema) piu’ meritevoli e i gruppi autori dei lavori saranno invitati a partecipare per essere premiati nel corso di un grande Evento che si terrà nel secondo anno scolastico del Progetto (a.s. 2023/2024) in cui i ragazzi saranno premiati alla presenza dei vertici Enel ed Osservatorio in una città a sorpresa!
E-PROJECT 2023-2025 - UNA GUIDA PER GLI STUDENTI
Mille classi delle scuole superiori coinvolte in tre anni, un percorso a tappe che comprende webinar di approfondimento, presentazioni e dibattiti in aula. E che culminerà con la pubblicazione online delle tesine preparate da migliaia di team di studenti, alle prese con la questione più scottante della nostra epoca: il futuro del pianeta Terra.
Questo è E-Project 2023-2025, l'iniziativa di Ecological Literacy, e cioè educazione ecologica, dell'Osservatorio Permanente Giovani-Editori in collaborazione con Enel. Il tema sono le strategie per contrastare il collasso ecologico del pianeta, con particolare attenzione al cambiamento climatico, e l’obiettivo è sensibilizzare, appunto, gli studenti delle Scuole superiori, renderli protagonisti e metterli in grado di formulare proposte su questioni così centrali per il loro futuro.
Al centro di E-Project ci sono le tesine. Ovvero gli elaborati di gruppo che preparerete e discuterete in ogni classe, prima di inviarli all'Osservatorio per la selezione e la pubblicazione. Le 100 tesine più riuscite del 2023 saranno menzionate sul sito dell'Osservatorio Giovani-Editori e pubblicate integralmente sul sito di Enel. Le migliori cinque tesine italiane saranno premiate durante una cerimonia che si terrà nel 2024.
I temi del 2023:
1. Gli oggetti
Riduciamo, ripariamo, riusiamo.
2. I viventi
Proteggiamo, salviamo, curiamo.
3. L'ambiente
Costruiamo, difendiamo, recuperiamo.
4. L'energia
Conserviamo, generiamo, trasformiamo.
5. Gli stili di vita
Mangiamo, consumiamo, viaggiamo.
Le tappe del percorso. Ogni classe partecipante a E-project formerà cinque squadre, ciascuna delle quali si approprierà di uno di questi temi e elaborerà una tesina in PowerPoint che presenterà e discuterà a scuola, prima di inviarla all'Osservatorio per la selezione e la eventuale pubblicazione. La fase di discussione pubblica, con i compagni e i docenti, come si intuisce è fondamentale: i componenti di ogni team dovranno gettarsi nell'arena e convincere gli altri della bontà delle loro analisi e soprattutto delle proposte per contrastare la crisi ecologica del pianeta. Ma allora: qual è il modo più efficace per costruire le presentazioni? Quanto devono essere lunghe? Come si devono articolare? Quella che segue è una sintetica guida per aiutarvi a realizzarle meglio, fermo restando che starà a ciascuna squadra di studenti trovare la formula creativa originale per affrontare la sfida.
Il formato delle presentazioni. Il "veicolo" richiesto per le tesine di E-project è il formato PowerPoint (.ppt), nel quale, come sapete, le pagine della presentazione si succedono l'una all'altra come diapositive, ciascuna, in genere, dedicata a un tema specifico, o a un aspetto particolare della tematica, oppure ancora all'introduzione o alla conclusione di un capitolo. Powerpoint è proprietà di Microsoft, ma sono svariati i software anche gratuiti in open source con i quali si possono creare presentazioni al computer da salvare poi in formato (ppt.).
Attenzione ai diritti. Dato che molti degli elaborati saranno pubblicati online, è richiesto di non inserire video nelle presentazioni (anche per non appesantirle troppo) in modo da evitare il rischio di violare diritti di autore. E le immagini? Le squadre, per la stessa ragione, dovranno utilizzare soltanto quelle che produrranno direttamente e delle quali perciò possiedono i diritti.
Il titolo delle tesine. I temi generali di E-project 2023 sono i cinque elencati sopra, e ogni classe li affronterà tutti e cinque, affidandoli uno per squadra. Ma il titolo di ogni tesina è libero. In altre parole, nella prima diapositiva della presentazione ogni team indicherà il tema scelto (Ad es: Gli oggetti Riduciamo, ripariamo, riusiamo), ma la scelta del titolo specifico della tesina (ad es: Scopriamo l'hi-tech ecologico) è interamente lasciata a voi.
Quante diapositive? Regola generale: una diapositiva per minuto di presentazione. L'ideale, dunque, sarebbe restare tra le 10 e le 15 diapositive al massimo, in modo da esporre i punti principali senza sovraccaricare i destinatari con troppe informazioni. Tenete presente che il fulcro della presentazione dovrebbero essere il contenuto e il messaggio, piuttosto che il numero di diapositive. Conta trasmettere bene la ricerca e le proposte durante la discussione in aula. Le diapositive vanno usate soprattutto come materiale di supporto.
L'Antropocene sullo sfondo. Dietro a E-project c'è la crisi ecologica che sta attraversando il pianeta, o più precisamente gli abitanti della Terra, a causa dell'Antropocene, cioè la nostra epoca geologica, caratterizzata dall'impatto pesante e dannoso delle attività umane sull'ambiente. Con conseguente cambiamento climatico, distruzione degli habitat, inquinamento... Quanto si dovrà parlare di questo scenario generale nelle presentazioni? Dipende. Un suggerimento potrebbe essere di citarlo in modo sintetico, soltanto per quanto serve a introdurre il tema specifico scelto. Ma anche su questo punto, libera scelta.
"Taglio" e titolo originali. Il punto di vista dalla quale nasce la presentazione è fondamentale. Come nelle news o nei reportage professionali è infatti il "taglio", ancor più che lo stile, a fare la differenza. Una volta scelto il tema, ciascuna squadra potrebbe concentrarsi proprio su questo punto, riflettere, e domandarsi: "Che cosa vogliamo trasmettere?" e anche "Come possiamo farlo nella maniera più efficace possibile?". Il messaggio che volete far passare molto probabilmente porterà alla scelta del titolo. A questo punto il suggerimento è scontato: definite il titolo dopo aver ricercato bene l'argomento scelto (per non risultare velleitari) ma prima di scrivere la tesina, in modo da sapere subito dove andrete a parare.
La scaletta. È il filo di Arianna che conduce, appunto, dall'inizio alla fine della presentazione, secondo il taglio preferito, per argomentare il titolo. Fissato quello, la scaletta dovrebbe essere discussa a fondo tra tutti i componenti della squadra, messa giù e poi possibilmente anche rispettata! Quando si completa la prima diapositiva, si dovrebbe già aver previsto come sarà scritta l'ultima. In questo modo il sentiero sarà tracciato, il discorso scorrerà bene e risulterà anche possibile prevedere i punti di svolta, i pilastri sui quali appoggiarlo.
Esperienza, scienza e tecnologia. Certo, si può (anzi è un bene) ispirarsi a osservazioni dirette o partire da esperienze altrui di cui si è venuti a conoscenza attraverso i social, il web, la tv o i giornali. Ma sia nell'analizzare i problemi sia nel proporre le soluzioni, è fondamentale usare gli strumenti della scienza (non soltanto delle scienze esatte, ma anche di quelle sociali) e tener conto degli sviluppi della tecnologia. Insomma: è necessario trattare in modo critico le esperienze dalle quali si parte, sostenere le proprie argomentazioni e presentare soluzioni solide e ben ragionate ai problemi che si vogliono affrontare.
Le fonti. È il punto su quale il contributo dei docenti può diventare molto utile. Come valutare, per esempio, l'attendibilità di una ricerca scientifica rintracciata sul web? Come capire se una tecnologia dipinta come risolutiva lo è davvero? Come scartare certe ipotesi non suffragate dai dati, e invece scovare quelle significative? L'indagine sulle fonti è molto stimolante e dovrebbe costituire la base di ogni presentazione che si rispetti. Citarle sempre!
Analizzare ma soprattutto proporre. Altro tema centrale di E-Project. I rischi ecologici che gli abitanti, e cioè non soltanto gli umani ma tutti i viventi della Terra, devono affrontare oggi richiedono di agire in fretta e bene. Sì, ma come? Quali sono le azioni che possono fare la differenza? Ai partecipanti le risposte.
Costi e benefici. Che accadrebbe se, per assurdo, si dovesse rinunciare del tutto e subito alla plastica, o ai carburanti figli del petrolio? Nel formulare proposte bisognerebbe avere sempre chiaro il rapporto costi-benefici, e ragionarci sopra seriamente. Cerchiamo di prevedere le conseguenze delle nostre scelte sulle nostre abitudini e sul nostro modo di vivere.
Da soli on in gruppo? Le azioni personali, sebbene importanti, non bastano quasi mai da sole per affrontare le sfide complesse e urgenti che ci troviamo davanti. L'azione collettiva è fondamentale. Se si agisce insieme con la propria comunità si riesce davvero a ottenere un impatto reale. Anche per questa ragione E-project punta sul lavoro di squadra. Qualche esempio di azioni personali? Riduzione dei consumi, uso di energie rinnovabili, cambio di stile di vita. Azioni collettive? Per esempio l'advocacy (e cioè il processo civile con cui un gruppo di persone cerca di dare appoggio ad una politica sociale, economica, legislativa, ecc., e di influenzare la relativa distribuzione delle risorse umane e monetarie) e le iniziative di consumo collettivo.
I cinque temi. Infine, quale argomento scegliere per la tesina? Lasciano tutti grande libertà creativa, dunque dipende molto dagli interessi dei componenti delle squadre. Un team che per esempio si concentra sul tema "Oggetti Ricicliamo, riduciamo, ripariamo" potrebbe discutere gli impatti ambientali della produzione usa-e-getta, oppure l'influenza dei consumatori e delle loro associazioni, oppure ancora le ultime iniziative dell'Unione Europea per combattere l'obsolescenza programmata... Ma sono soltanto esempi: è proprio nello scegliere l'angolazione e i contenuti della tesina che le squadre possono manifestare la loro creatività e preparazione. Qui comunque alcuni stimoli, tema per tema.
Gli oggetti - riduciamo, ripariamo, riusiamo
Che cos’è un rifiuto? È la prima domanda che ci dovremmo porre quando cerchiamo tra le nostre cose, magari con l’idea di liberarci di uno smartphone obsoleto, del pc che ha fatto il suo tempo, o di un vestito che non mettiamo più. Chiedercelo, infatti, è il primo passo per capire come trasformare in risorsa un oggetto vecchio e, apparentemente, da buttar via. Il secondo passo è quello di conoscere la differenza, secondo la terminologia anglosassone, tra upcycling, downcycling, e recycling. «Il primo termine significa che un materiale di scarto viene utilizzato per produrre un altro oggetto dal valore superiore a quello di partenza, ad esempio uno striscione pubblicitario rimosso che viene utilizzato per confezionare una borsa o il pane avanzato utilizzato per produrre birra: la birra o la borsa valgono di più del pane o dello striscione», spiega Roberto Cavallo, agronomo e saggista specializzato nel campo scientifico-ambientale. «Il recycling, e cioè il riciclo» aggiunge «è invece quando un materiale viene utilizzato per produrre un bene simile o identico a quello da cui proviene il materiale: una bottiglia di vetro che torna ad essere bottiglia o vasetto, una lattina di alluminio che torna ad essere lattina o caffettiera». Il downcycling? «Se da un oggetto di scarto viene recuperato il materiale per produrre un altro bene, ma di valore inferiore. Ad esempio, il polverino degli pneumatici per fare asfalti o le scatolette d’acciaio per farne tondini di ferro per il cemento armato. È comunque importante perché, in alcuni casi, il processo di downcycling permette il recupero della materia che altrimenti andrebbe persa e sostituita con materiali vergini. Nel caso di alcuni materiali, come il PVC, è praticamente l’unica via per recuperarne la materia». E infine c’è il riutilizzo creativo, quando un oggetto dismesso diventa, per esempio, parte di un’installazione artistica. Certamente un impiego di nicchia, ma una metafora potentissima: gli oggetti vecchi meglio guardarli con occhi nuovi. Soltanto così si riesce a uscire dall’Estrai-produci-utilizza-getta: questo schema non prevede la possibilità di riparare ciò che è rotto. I dispositivi sono condannati a un ciclo di vita limitato (obsolescenza programmata) che ci sta seppellendo di rifiuti: pensate che meno del 18% degli e-waste, cioè dei rifiuti elettronici, è raccolto e riciclato e mentre i minerali di grande valore in essi contenuti vanno persi, si traforano montagne e fondali marini per ottenerne di nuovi. Potete calcolare voi stessi il numero esorbitante di e-waste presente nelle nostre case.
Ma di modi alternativi di essere consumatori ce ne sono. Pensateci: anziché acquistare una videocamera nuova per poi usarla tre volte, potremmo prenderla a noleggio. È l’idea alla base di Grover, una piattaforma che permette di affittare prodotti elettronici pagando un abbonamento mensile. Tra un utilizzo e l’altro i dispositivi sono riparati e aggiornati, così il costo (anche per un eventuale acquisto) diventa sempre più vantaggioso e i vecchi modelli restano in circolazione. Un bell’esempio di economia circolare: si presta, riutilizza, condivide, recupera e solo infine si ricicla, riducendo così i rifiuti.
Le iniziative di questo tipo sono sempre più diffuse e meriterebbero di essere più conosciute. Sapevate che comprando prodotti hi-tech ricondizionati, cioè ispezionati e riparati prima di essere reimmessi sul mercato, si fa bene all’ambiente e si risparmia fino al 60% sul prezzo originale?
Anche l’Unione Europea si sta muovendo in questa direzione: ha imposto ai produttori di offrire un caricatore unicoper smartphone, tablet e altri apparecchi elettronici a prescindere dalla marca e si sta battendo per incentivare riparazioni e ricambi per i cellulari.
Nella stessa direzione (migliorare la gestione dei rifiuti e favorire l’economia circolare) va la scelta dell’UE di bandire alcuni prodotti di plastica monouso - come posate, cannucce, contenitori per il cibo in polestirene e cotton fioc - laddove siano riproducibili con alternative più sostenibili, e puntare al riciclo del 50% degli imballaggi di plastica per il 2025: secondo Plastic Europe questi involucri che avvelenano i mari e che formano microplastiche destinate a rientrare nella catena alimentare costituiscono il 94% dei rifiuti urbani.
E se le buone abitudini che ciascuno di noi può adottare per ridurre i rifiuti di plastica sono ormai diffuse (dalla borraccia all’acquisto di cibo sfuso), c’è chi con essi confeziona capi alla moda: il marchio spagnolo Ecoalf crea i suoi abiti con un morbido filato ricavato dalle bottiglie di plastica ripescate dal Mediterraneo. Per farlo ha ingaggiato una catena di pescatori tra Spagna, Italia e Grecia che riforniscono l’azienda con i rifiuti di plastica rimasti impigliati tra le reti.
Anche sui social gli oggetti usa e getta hanno i giorni contati. Seguite già su Instagram qualche account sullo stooping (come @stooping_milano)? Allora forse conoscete il trend del recupero dei mobili abbandonati per strada prima che vengano raccolti dalla nettezza urbana (stoop sono le scale di ingresso dei palazzi newyorkesi dove è nata questa moda). Uno scopo analogo hanno i gruppi social “Te lo regalo se vieni a prenderlo” e Freecycle, piattaforma che mette in rete chi vuole regalare cose vecchie e chi ne ha necessità, aiutando a ridurre la quantità di rifiuti in discarica.
Elisabetta Intini
Alcuni concetti chiave
- Economia circolare
- Estensione della vita del prodotto
- Design sostenibile
- Design dalla culla alla culla (C2C, ovvero "cradle to cradle")
- Impatto della tecnologia su rifiuti e consumi
- Obsolescenza programmata
Fonti
E-waste, effetti sulla salute: Soaring e-waste affects the health of millions of children, WHO warns
The Global E-waste Monitor 2020 – Quantities, flows, and the circular economy potential
https://ewastemonitor.info/gem-2020/
E-waste calculator
https://weee4future.eitrawmaterials.eu/e-waste-calculator/
Scientists use a blender to reveal what’s in our smartphones
https://www.plymouth.ac.uk/news/scientists-use-a-blender-to-reveal-whats-in-our-smartphones
Grover
https://www.grover.com/us-en?utm_source=daisycon&utm_medium=affiliates&utm_campaign=Skimlinks
Provvedimenti UE
Deal on common charger: reducing hassle for consumers and curbing e-waste
Single-use plastics: Commission welcomes ambitious agreement on new rules to reduce marine litter
https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/IP_18_6867
Plastic Europe
https://plasticseurope.org/resources/market-data/
Stooping Milano https://www.instagram.com/stooping_milano/
Freecycle
I viventi - Proteggiamo, preserviamo, curiamo
Il panda. Il koala. L’orso polare, la tigre, le api, le balene. Pensate a un animale selvatico: ci sono buone probabilità che ve ne sia venuto in mente uno in via d’estinzione. È da almeno un decennio che la scienza ha stabilito che stiamo vivendo in diretta la sesta estinzione di massa della storia della Terra, la prima causata da una singola specie – l’uomo, ovviamente. E quindi sappiamo tutto sui rischi che corrono gli animali a causa del riscaldamento globale, dell’inquinamento, della distruzione del loro habitat; secondo l’IUCN (Unione mondiale per la conservazione della natura), entro il 2100 rischiamo di perdere il 41% delle specie di anfibi, il 25% di quelle di mammiferi, il 21% dei rettili e il 14% degli uccelli, e ci stiamo limitando solo ai vertebrati terrestri: se allarghiamo lo sguardo a tutti i viventi, il 28% delle specie (conosciute!) sono a un passo dalla scomparsa.
Ascoltate però questi nomi: Erythrina schliebenii. Cyrtandra rarotogensis. Aquilaria malaccensis. Vi dicono qualcosa? Probabilmente no. Proviamo con questa: Gingko biloba. Magari ne avete una o due sotto casa: è un albero nativo della Cina e ormai diffuso in tutto il mondo, usato in parchi e giardini, ma è anche una delle specie viventi più in pericolo del pianeta. Non se ne parla spesso, e anzi si tende a vederle come elementi di contorno, lo “sfondo” sul quale si muovono gli animali, ma anche le piante subiscono gli effetti dei cambiamenti climatici e della distruzione dell’habitat. Per la precisione, sempre secondo l’IUCN, il 40% delle specie vegetali del pianeta rischiano di sparire nei prossimi decenni, e una situazione simile vale anche per i funghi, che però sono ancora meno studiati e considerati.
Eppure, il crollo della biodiversità vegetale è un problema enorme, e che avrà un impatto immediato e diretto anche su quella animale. Innanzitutto, perché, sembra una banalità, le piante, a differenza degli animali, non si possono spostare, e quindi non possono abbandonare un habitat ormai degradato per andare in cerca di pascoli più verdi (metaforici o reali). Negli ultimi 250 anni si sono estinte (che noi sappiamo) 217 specie tra mammiferi, uccelli e anfibi, e 571 specie di piante; ed entro il 2100 queste ultime potrebbero diventare 130.000.
Le cause sono le solite, con i cambiamenti climatici e soprattutto la distruzione dell’habitat in cima alla lista dei pericoli: la FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l’agricoltura) nel 2021 ha calcolato che ogni anno perdiamo nel mondo 10 milioni di ettari di foresta (pari a 100 km2), il 14% dei quali concentrati nella sola Amazzonia. Ci sono specie che subiscono l’innalzamento del livello dei mari, altre l’aumento delle temperature – tra le quali, ironicamente, si contano anche il 90% delle specie di cactus. E se è vero che negli ultimi anni in giro per il mondo sono partiti migliaia di progetti di riforestazione, è anche vero che non si tratta di una soluzione sufficiente: innanzitutto perché gli alberi ripiantati impiegheranno decenni per “sostituire” appieno quelli tagliati, e poi perché fin troppo spesso questi progetti fanno l’errore di sostituire un intero ecosistema, composto da decine di specie grandi e piccole, con veri e propri “campi di legno” costituiti da una singola specie. E un ecosistema incompleto è un ecosistema fragile.
La vera parola chiave di tutto questo discorso, però, è un’altra: “conosciute”. Al momento abbiamo scoperto quasi 400.000 specie di piante, ma ogni anno questo numero aumenta di circa 2.000 unità. Ci sono zone in particolare, tra cui l’Amazzonia, che sono un vero e proprio scrigno di scoperte: ogni volta che riusciamo ad arrivare in una zona ancora inesplorata (e ce ne sono tante) scopriamo decine di nuove specie. E per converso, ogni volta che abbattiamo un ettaro di foresta per trasformarlo in un allevamento o in un campo coltivato ne estinguiamo altrettante: moltissime specie amazzoniche vivono in aree molto ristrette e contano un numero limitato di esemplari, e radere al suolo la foresta è il modo più rapido cancellarle senza neanche accorgercene. Una perdita del genere è ovviamente drammatica, oltre che evitabile, ma forse il modo migliore per attirare l’attenzione del pubblico e smuovere le acque è buttarla sul pratico.
Dei 150 farmaci da banco più usati negli Stati Uniti, 118 provengono da fonti naturali: molecole scoperte in una pianta e sfruttate per la nostra salute. La maggior parte di queste molecole sono state scoperte nelle foreste tropicali, dove la biodiversità è più alta. Ogni volta che distruggiamo un ettaro di Amazzonia, quindi, stiamo minacciando piante che ancora non conosciamo e che potrebbero contenere sostanze fondamentali per sviluppare qualche farmaco. Non soltanto – per dirla con uno slogan da non prendere troppo alla lettera – la cura per il cancro potrebbe essere nascosta in Amazzonia ma molte delle molecole che già conosciamo sono ancora troppo complesse perché siamo in grado di sintetizzarle. Al momento, ci sono circa 15.000 specie medicinali minacciate di estinzione, molte delle quali insostituibili.
Esiste una soluzione? Sì, ed è anche molto semplice: smettere di tagliare indiscriminatamente, e continuare con le opere di riforestazione, che pur non essendo decisive danno comunque un contributo. Ma più che piantare alberi nuovi, quello che importa davvero è proteggere quelli che già ci sono: serve un cambio rapido e radicale di mentalità a livello globale, se non vogliamo andare incontro a quella che l’IUCN ha definito, nel suo Rapporto sullo Stato degli Alberi nel Mondo, una “catastrofe ecologica”.
Gabriele Ferrari
Alcuni concetti chiave:
• Biodiversità
• Servizi ecosistemici
• Impatto dei cambiamenti climatici sulla biodiversità
• Specie aliene
• Impatto delle tecnologie sulla protezione dei viventi
LINK UTILI
IUCN: specie e cambiamento climatico
https://www.iucn.org/resources/issues-brief/species-and-climate-change
IUCN: la Lista Rossa
La deforestazione nel mondo
Our World in Data https://ourworldindata.org/deforestation
Global Forest Watch https://www.globalforestwatch.org/dashboards/global/?category=forest-change
WWF: la foresta amazzonica
https://www.worldwildlife.org/places/amazon
Royal Botanical Gardens: State of the World Plants and Fungi (a breve in arrivo il 2023)
https://www.kew.org/science/state-of-the-worlds-plants-and-fungi
L'ambiente - costruiamo, difendiamo, recuperiamo
La scienza è un linguaggio universale, ma la comunicazione tra scienziati avviene spesso in quell’altra lingua franca che è l’inglese: è così che una serie di espressioni come “climate change” o “green revolution” sono entrate nel nostro linguaggio quotidiano pur avendo una facile traduzione italiana. Nei prossimi anni, la crisi climatica ci costringerà purtroppo ad aggiungerne un’altra all’elenco: la sentiremo sempre più spesso, man mano che gli ecosistemi terrestri si avvicineranno ai loro limiti di sopportazione. L’espressione è “tipping point”, che potremmo tradurre con “punto di non ritorno”: indica la soglia oltre la quale certi fenomeni climatici vengono modificati in maniera irreversibile, causando conseguenze negative a cascata su tutto il pianeta.
Il più famoso tra i tipping point è quello di cui si discute da parecchi anni. Stiamo parlando della soglia critica dell’aumento delle temperature: quando supererà gli 1,5 °C, l’intero pianeta ne subirà le conseguenze, che si faranno sempre più gravi e sempre più in fretta. Al momento l’aumento della temperatura rispetto all’epoca preindustriale è di 1,2 °C: siamo quindi a un passo dal punto di non ritorno, e secondo uno studio del 2022 (che prevede tra l’altro che entro il 2100 la temperatura globale sarà aumentata di 2,7 °C) già la soglia di 1 °C rappresentava un tipping point, seppur meno grave.
C’è un motivo se l’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change, l’organismo sovranazionale che si occupa di monitorare e fare ricerche sui cambiamenti climatici) e chiunque si occupi di clima ha deciso di concentrare l’attenzione sull’aumento di temperatura come punto di non ritorno: il superamento della soglia farà scattare, spesso nel giro di pochi anni, una serie di altri tipping point in giro per il pianeta. La conseguenza più evidente è l’impatto del caldo sulle calotte glaciali dei Poli, che si scioglieranno a un ritmo sempre crescente. Lo scioglimento di questi enormi strati di ghiaccio, alti anche 4 km, comincia infatti dalla superficie; più ghiaccio si scioglie, più la superficie si avvicina al livello del mare, dove la temperatura è superiore. Superato un certo limite, le nevi che cadono ogni anno non sono più sufficienti a rigenerare la calotta, che passato il punto di non ritorno è destinata a scomparire.
Con conseguenze catastrofiche: lo scioglimento della calotta glaciale della Groenlandia, per esempio, la seconda più grande del mondo, comporterebbe l’immissione di un’enorme quantità di acqua dolce negli oceani, alzandone il livello di 7 metri e modificandone temperatura e salinità. Ancora peggio sarebbe lo scioglimento della EAIS, la calotta antartica orientale: l’acqua che contiene sotto forma di ghiaccio farebbe alzare il livello dei mari di oltre 50 metri. Non tutti questi scenari si verificheranno in tempi brevi: la Groenlandia, per esempio, avrebbe bisogno di migliaia di anni per sciogliersi completamente, mentre per l’EAIS servirebbe un aumento di temperatura globale di 10 °C. Il problema dei tipping point, però, è che sono irreversibili: superarli per poi consolarsi dicendo “è un problema per chi verrà tra 1.000 anni” non è una soluzione valida.
Senza contare che ci sono punti di non ritorno con effetti decisamente più rapidi: per restare tra i ghiacci, la copertura glaciale del mare di Barents, la zona dell’Artico che si sta scaldando più velocemente, ha bisogno di un aumento di appena 1,6 °C per superare il punto di non ritorno, e di 25 anni per sciogliersi completamente. Altrettanto pericoloso è lo scioglimento del permafrost, uno spesso strato di suolo perennemente congelato che ricopre vaste aree della Siberia, dell’Alaska e del Canada. Il permafrost è uno scrigno di CO2 e altri gas, soprattutto metano, conservati nel materiale organico intrappolato nel ghiaccio: se questo si sciogliesse, ci sarebbe un rapido e sostanzioso aumento delle emissioni di gas serra in atmosfera, che a sua volta contribuirebbe ad aumentare ulteriormente le temperature. Non c’è ancora un consenso definitivo su quale sia il tipping point per il permafrost, ma le stime più condivise indicano la solita soglia degli 1,5 °C come punto di non ritorno, e il 2040 in particolare come “inizio della fine”, il momento dopo il quale sarà impossibile fermare il suo scioglimento.
Il caldo eccessivo creerà problemi non solo nelle zone fredde, ma anche in quelle calde. L’esempio più clamoroso è quello della barriera corallina, uno degli ambienti più ricchi di biodiversità, ma anche più fragili, che ci siano negli oceani. Basta un aumento di 1 °C (già superato da tempo, quindi) per esporre tutti i coralli del mondo al rischio di bleaching, un fenomeno che porta i coralli a perdere i microrganismi con i quali vivono in simbiosi e che sono responsabili, tra l’altro, della loro colorazione: una barriera corallina colpita da bleaching è di uno spettrale colore bianco, ed è composta da individui più fragili e vulnerabili alle malattie. Secondo l’IPCC, quando supereremo il punto di non ritorno degli 1,5 °C, il 90% dei coralli scompariranno, e se arrivassimo a 2 °C ne sopravviverebbero una manciata in tutto il pianeta.
Il tipping point più clamoroso, però, o quantomeno quello di cui si discute di più nell’ultimo periodo, riguarda la foresta amazzonica, tanto preziosa quanto delicata e a rischio. Preziosa perché è la più vasta foresta pluviale al mondo e il più ricco sistema fluviale, importantissimo a livello planetario. Le sue piante racchiudono da 150 a 200 miliardi di tonnellate di carbonio (C), equivalenti da 367 a 733 miliardi di tonnellate di CO2, che sarebbe disastroso se si liberassero nell’aria. Delicata e a rischio, perché la deforestazione causata dagli uomini (la foresta ha perduto i 17% della sua superficie negli ultimi 50 anni, e il tipping point, si calcola, scatterà al 25%) oltre all’aumento della temperatura rischiano di inceppare il raffinato motore idrico e atmosferico che la fa prosperare.
Alla fine, comunque, si ritorna sempre lì: a quegli 1,5 °C che ai tempi dell’accordo di Parigi sembravano un obiettivo raggiungibile con un po’ di buona volontà, e che nel 2023 assomigliano a un miraggio, tanto che stiamo già cercando di capire come sopravvivere e adattarci ai +2 °C. A meno di miracoli, insomma, i tipping point diventeranno nostri fedeli compagni di viaggio nei prossimi anni; l’augurio è di sentirli nominare il meno possibile.
Gabriele Ferrari
Alcuni concetti chiave:
• Servizi ecosistemici
• Tipping point
• Inquinamento di aria, acqua, terreno
• Perdita di biodiversità
• Cambiamento di destinazione d'uso del suolo
• Deforestazione
• Impatti del cambiamento climatico sui sistemi naturali
• Giustizia ambientale
LINK UTILI
Exceeding 1.5°C global warming could trigger multiple climate tipping points: lo studio più aggiornato sull’argomento
Studio: https://www.science.org/doi/10.1126/science.abn7950
Explainer: https://climatetippingpoints.info/2022/09/09/climate-tipping-points-reassessment-explainer/
Amazon tipping point: Last chance for action
Studio: https://www.science.org/doi/10.1126/sciadv.aba2949
(purtroppo gli studi di Vanni Gatti non si trovano)
Quanto è estesa la copertura glaciale del pianeta?
Copernicus: https://climate.copernicus.eu/climate-indicators/ice-sheets
NASA: https://earth.gsfc.nasa.gov/cryo/data/current-state-sea-ice-cover
Informazioni varie sulle calotte glaciali
National Geographic: https://education.nationalgeographic.org/resource/ice-sheet
L'energia - conserviamo, generiamo, trasformiamo
L’ultimo rapporto dell’IPCC (L'Intergovernmental Panel on Climate Change, l’organismo internazionale che vigila sui cambiamenti climatici) lo dice chiaro e tondo: se vogliamo contenere il riscaldamento globale a non più di 1,5 °C dall’era pre-industriale occorre rivedere in modo radicale il modo in cui produciamo energia. Nessuna area riforestata o futuristica tecnologia di cattura della CO2 potrà esimerci dal fare la nostra parte: per salvare il Pianeta è fondamentale affrontare il problema delle fonti inquinanti, che dovrebbero raggiungere un picco entro il 2025, per poi calare del 43% entro il 2030 e dell'84% entro il 2050. È questa la data chiave per l’obiettivo comune di arrivare a emissioni nette zero, ossia gas serra emessi uguali a gas serra assorbiti. Significa puntare, per la metà del secolo, a una diminuzione drastica dell’impiego di carbone, petrolio e gas pari al 95%, 60% e 45% rispettivamente, in confronto al 2019.
Per arrivarci c’è ancora molto da fare: per l’ampio sfruttamento dei combustibili fossili e la deforestazione, nel 2022 le concentrazioni atmosferiche di CO2 hanno raggiunto una media di 417,2 parti per milione, oltre il 50% più alta dei livelli preindustriali. Secondo gli scienziati un buon inizio sarebbe smettere di investire cifre astronomiche in sovvenzioni ai combustibili fossili e usare quel denaro per lo sviluppo delle energie rinnovabili, che mai prima d’ora sono state così convenienti, e non solo dal punto di vista economico.
L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha mostrato all’Europa, che dalla Russia importava circa il 40% del suo fabbisogno di gas naturale (un combustibile fossile composto per il 90% da metano), il costo geopolitico della dipendenza energetica. Secondo la IEA, l'autorità energetica mondiale, nel lungo periodo questa crisi darà una spinta ulteriore alle energie rinnovabili. La rivoluzione è già cominciata: per Ember, un centro di ricerca indipendente su clima ed energia, eolico e solare hanno fornito nel 2021 il 10% dell’energia elettrica globale: una percentuale da record. Complessivamente il 38% del fabbisogno di energia elettrica mondiale è ora coperto da fonti rinnovabili, anche se nel 2021 la domanda mondiale di elettricità è aumentata.
Così come è cresciuto uno dei settori che più promettono di abbattere l’inquinamento: quello della mobilità elettrica. Le automobili elettriche (Battery Electric Vehicle, alimentate esclusivamente a batteria, o Plug In Electric Vehicle, cioè a motorizzazione ibrida) sono già diffuse nel trasporto passeggeri, ma ancor più successo ha avuto l'uso dell'elettricità nel trasporto pubblico, dove è già ampiamente utilizzata. Per restare alle auto elettriche, però, l’Europa è cresciuta a ritmi da record nel 2022. Nel continente sono state immatricolate oltre un milione e mezzo di vetture (+29% rispetto al 2021). Quanto all’Italia, non è all'avanguardia nel continente, ma quasi un’auto su 10 immatricolata nel 2021 è elettrica ricaricabile (100% elettrica o elettrica plug-in). La sfida resta quella di migliorare la velocità di carica e la capacità delle batterie, e di adeguare le reti di rifornimento (in Italia sono oltre 32mila i punti di ricarica, e continuano a aumentare di numero).
Già, ma come dev'essere prodotta l'elettricità, anche quella che arriva a alimentare le automobili? Il tema generale resta quello della cosiddetta "transizione energetica", cioè il progressivo abbandono dei combustibili fossili accompagnato dal ricorso a fonti eco-compatibili, come eolico o solare ma non soltanto. Un passaggio sempre più urgente per motivi ambientali, e che coinvolge la produzione, ma anche la distribuzione, lo stoccaggio dell'energia, la risposta intelligente alle fluttuazioni della domanda. Non c’è dubbio che la risposta all’emergenza climatica nel settore energetico sia rappresentata dalle rinnovabili, che oggi sono le fonti più competitive. Nell'Unione Europea l'obiettivo dello "European Green Deal" è arrivare alla neutralità climatica entro il 2050, e cioè a "zero emissioni nette". Il citato rapporto dell'IPCC la definisce: «la situazione in cui le emissioni nette di CO₂ di origine antropica sono compensate a livello globale dalle rimozioni di CO₂ di origine antropica in un determinato periodo». I progressi scientifici e tecnologici in generale e la digitalizzazione in particolare aiutano a affrontare questo cambiamento storico, così come aiuta la consapevolezza ormai acquisita che anche nel campo delle rinnovabili bisogna tenere conto del ciclo di vita dei componenti, recuperare e riusare. Per fare un solo esempio, le migliori tecnologie oggi sul mercato permettono di recuperare da un pannello solare il 98% del suo peso. Da un modulo di 21 kg si possono ottenere: 15 kg di vetro (che rappresenta il 70% circa del peso complessivo di ogni unità) 2,8 kg di materiale plastico, 2 kg di alluminio, 1 kg di polvere di silicio e 0,14 kg di rame. Materiali che si recuperano e riusano, sia per non inquinare, sia per ridurre il ricorso alle attività minerarie e ridurne l'impatto ambientale.
Grandi aspettative ci sono inoltre sull’idrogeno verde, che si ricava per elettrolisi, cioè attraverso la scissione della molecola d’acqua in idrogeno e ossigeno, attraverso un processo alimentato esclusivamente da fonti rinnovabili, dunque senza inquinare. Il suo enorme potenziale è dato dal fatto che si presta ad essere usato in quei settori industriali (dalle acciaierie agli stabilimenti chimici, ai trasporti pesanti) in cui non è possibile oggi abbattere le emissioni ricorrendo all’elettrificazione.
Fonti:
Ultimo rapporto IPCC: Climate Change 2022: Mitigation of Climate Change (qui il comunicato in italiano)
https://report.ipcc.ch/ar6wg3/pdf/IPCC_AR6_WGIII_SummaryForPolicymakers.pdf
Global carbon budget 2022
https://eurocomunicazione.eu/global-carbon-budget-2022-co2-a-livelli-record/
IEA, World Energy Outlook 2022,
https://www.iea.org/reports/world-energy-outlook-2022/key-findings
Ember, Global Electricity Review 2022
https://ember-climate.org/insights/research/global-electricity-review-2022/
EnelX, Guida ai veicoli elettrici
https://www.enelx.com/it/it/guide/mobilita-elettrica/veicoli-elettrici
Enea, decalogo risparmio energetico
https://www.enea.it/it/Stampa/File/decalogo_risparmio_energetico.pdf
Gli stili di vita - mangiamo, consumiamo, viaggiamo
Nel libro Un anno a impatto zero (Cairo Editore, 2010) lo scrittore newyorkese Colin Beavan racconta l’esito di un esperimento “estremo”: ridurre l’impatto ambientale dell’intera famiglia rivedendo drasticamente lo stile di vita. Per un anno Colin, la moglie e la figlia cercano di portare vicino allo zero consumi, emissioni e rifiuti rinunciando ai mezzi di trasporto, all’ascensore, alla tv, a riscaldamento e luce elettrica, a carne, cibi confezionati e surgelati, all’acquisto di prodotti non alimentari, a tutto ciò che è avvolto nella plastica e persino alla carta igienica. L’avventura che non risparmia difficoltà e scivoloni tragicomici riserva piacevoli sorprese: tempo in famiglia riconquistato, una ritrovata forma fisica, piatti più genuini a tavola e una maggiore cura delle relazioni umane.
Anche per chi non medita scelte di vita così scelte così radicali, il viaggio di Beavan è fonte di ispirazione: forse potremmo fare la nostra parte nel combattere la crisi climatica cominciando dalle piccole scelte di tutti i giorni, a partire da quello che mangiamo. Ogni alimento è responsabile infatti di una certa quantità di emissioni di gas serra liberate in atmosfera nelle varie fasi del processo produttivo (qui alcuni strumenti per calcolare l’impronta di carbonio del cibo).
Il record appartiene ai bovini: per produrre una bistecca di 100 g di manzo si emettono 15,5 kg di gas serra CO2-equivalenti (una misura che mette in relazione il potenziale climalterante di vari gas serra con quello della CO2). Meglio fa, suo malgrado, il maiale (2,4 kg), ancor meglio il pesce di allevamento (1,34 kg). Sorprendentemente, neppure il cioccolato fondente risulta tra gli alimenti più virtuosi (0,95 kg) mentre, come ci si può aspettare, i vegetali in questa graduatoria sono imbattibili: patate, carote e arance non superano gli 0,05 kg di gas prodotto all’etto. Conoscere questi dati può portare il consumatore a moderarsi, a cambiare qualche abitudine e a scegliere. E soprattutto può spingere i produttori a studiare dei modi per abbattere la produzione di gas, anche perché la mano pubblica comincia a intervenire. È di questi giorni la notizia che la Nuova Zelanda, il maggior esportatore mondiale di latticini, intende tassare le emissioni gassose dei propri bovini. La tassa sulle flatulenze, per dirla con eleganza, ridurrà, spera il governo neozelandese, l’impatto del gas metano e degli altri CO2-equivalenti prodotti dai 10 milioni di mucche e 26 milioni di pecore che attualmente sono responsabili di metà delle emissioni globali isolane.
Questi gas derivano in genere non soltanto dai processi digestivi degli animali, ma anche dalla deforestazione per fare spazio alle colture di cereali o foraggio destinati al mangime animale o all’allevamento, o ancora dall’uso di fertilizzanti agricoli. Mettiamoci poi il trasporto, la lavorazione, il packaging… In realtà i trasporti incidono soltanto in piccola parte sul totale delle emissioni finali (per esempio sull’1% di quelle relative alla produzione di manzo). Ecco perché mangiare locale contribuisce a ridurre l’impatto ambientale di ciò che mangiamo, ma conta assai di più la scelta di che cosa mettiamo nel piatto. Mangiare meno carne (e soprattutto meno carne rossa), fa bene all’ambiente e alla salute, e fa risparmiare acqua: carne e latticini hanno una maggiore impronta idrica, dovuta per esempio dall’acqua usata per coltivare il foraggio animale. Pensate che se per nutrire per un giorno un vegetariano occorrono tra i 1500 e i 2600 litri d’acqua, per sfamare un carnivoro ne servono 4000-5400!
Il consumo idrico è un tasto dolente anche per l’industria della moda, dalla quale dipende il 20% dell’acqua sprecata a livello globale: servono 10.000 litri d’acqua per produrre un chilo di cotone necessario a confezionare un paio di jeans. Da questo settore deriva anche il 35% delle microplastiche che finiscono in mare quando si lavano gli abiti in poliestere, la fibra sintetica su cui si fonda il fast fashion, la moda di rapida produzione, con capi spesso di bassa qualità e basso prezzo. Il fast fashion ha un enorme impatto ambientale per inquinamento delle acque con prodotti chimici e per emissioni di combustibili fossili (il poliestere è un derivato del petrolio). Considerando che ogni consumatore oggi acquista il 60% di abiti in più rispetto a 20 anni fa, per poi tenerli nell’armadio la metà del tempo, si comprende bene quanto pesino le nostre scelte di consumo.
Ma le soluzioni si trovano, e molte sono alla nostra portata. Possiamo provare a limare la nostra impronta ecologica sull’ambiente anche nei momenti di svago, per esempio scegliendo come spostarci in viaggio e in vacanza. Per percorrere brevi tragitti il treno o la corriera sono probabilmente l’opzione più sostenibile. L’auto non è da escludere se si è almeno in tre (se poi ibrida o elettrica, ancora meglio). Per tratte intermedie meglio optare per treni ad alta velocità, e se proprio non è possibile rinunciare all’aereo, meglio scegliere voli diretti: le fasi che comportano maggiori emissioni sono infatti decollo e atterraggio. Viaggiare in economy è non solo più accessibile ma anche meglio per l’ambiente: ci sono più posti e dunque minori emissioni in proporzione per ogni passeggero. Perfino sulla scelta della destinazione possiamo dimostrarci attenti, per esempio scegliendo città visitabili in bicicletta, strutture ricettive che supportino l’economia locale e siano attente alla raccolta dei rifiuti, o dedicando le vacanze a esperienze di volontariato naturalistico e di monitoraggio della biodiversità. Si può certamente proteggere l’ambiente senza rinunciare a divertirsi.
Elisabetta Intini
Alcuni concetti chiave
• Consumo sostenibile
• Bassa impronta di carbonio
• Impronta ecologica
• Consumismo etico
• Impatto delle scelte dei consumatori sull'ambiente
Fonti:
Impronta di carbonio del cibo
https://www.earthday.org/foodprints-calculators/
Emissioni di gas serra del cibo
https://ourworldindata.org/greenhouse-gas-emissions#how-are-greenhouse-gases-measu§ed
CO2 equivalente
https://www.changeclimatechange.it/parole/tonnellata-co2-equivalente/
Impronta idrica del cibo
Emissioni del fast fashion
https://ilbolive.unipd.it/it/news/limpatto-ambientale-dellindustria-moda
Incontri Online
Nell’ambito dell’iniziativa sono previsti webinar per docenti e studenti, con ospiti relatori qualificati ed esperti delle tematiche che saranno oggetto del Concorso.
L’incontro di presentazione per gli insegnanti si è tenuto il 28 febbraio alle ore 16 alla presenza di Jacopo Loredan, coordinatore scientifico del Progetto e già direttore del Mensile scientifico FOCUS e Olga Sbutega Head of people sustainability e Flavia Benedetti Valentini, Innovation Specialist di Enel.
Le registrazioni dei webinar per studenti